ELLA credo

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venerdì 1 dicembre 2017

Natale a 52 parallelo Sud: di Elsa Cugola, consulente aziendale, pubblicato su QUotidie Magazine


Questo è il racconto di un pranzo di Natale, a bordo della Professr Khromov, una rompighiaccio russa, in rotta verso Campbell Island, al 52esimo Parallelo Sud, dell’emisfero australe. Alle ore 12,30 invitati dall’annuncio del capitano, gli ospiti convergono alla sala di ristoro, per celebrare l’unicità di quel giorno. Natale appunto. Un sottofondo anglosassone di saluti e convenevoli riempie l’ambiente: ciò che colpisce è l’assenza di risate prorompenti, esternazioni forzatamente chiassose. Il servizio al tavolo, reso difficile dal rullare impietoso della nave, è compendiato da un ricco buffet, dove i portavivande sono fissati ai tavoli e riempiti parzialmente, per evitare, versamenti, quando la nave si inchina alle forze dell’oceano. Un osservatore mediterraneo, per meglio dire, italiano o spagnolo, ma anche tunisino o egiziano, noterebbe immediatamente che ogni ospite di un designato tavolo, si alza e si serve al buffet, rispettando la fila, mentre gli altri ospiti dello stesso tavolo, attendono seduti il ritorno del commensale, per alzarsi successivamente e compiere nello stesso modo, il rito di approvvigionamento culinario. E’ un gesto di educazione, per evitare la congestione della fila al buffet: pensiero elementare, per un anglosassone, forse di più difficile elaborazione per un italico. Ogni commensale disamina l’offerta a buffet, con lo sguardo pallido, del derma degli ultimi colonizzatori, servendosi una porzione moderata, a beneficio del mal di mare. Se qualcuno litiga con il cucchiaio nel dosare, nel piatto la porzione, quello dietro aspetta, in paziente silenzio. L’insalata come antipasto appare come un doveroso ricordo del contenimento calorico, più che per soddisfare un vero interesse da parte degli avventori nautici: foglioline tagliuzzate finemente, con le carotine a julienne fredde dal sapore di cellulosa, rimane lì, apprezzata da pochi. E’ evidente l’influenza neozelandese nel menu’: piatti a base di carne, sia questa grigliata, bollita, o stufata, di bovino, suino e agnello. Il parterre di salse è una sequenza horror per le papille gustative di un foodies italiano: maionesi acide, aspiranti besciamelle ricostituite da latte in polvere, a pH minimo 3 o più basso. Non può mancare il condimento “charcoal”, un po’ affumicato, un po’ caramellato, decisamente umami: è quel condimento per imbrunire ed insaporire, diffuso in ogni tavola calda americana. Funziona largamente come coprente; certo è che ricorda le note della famigerata Marmite britannica. Il ventilato  in realtà è un buds killing, per questo lo strato coprente e denso dei toppings viene rimosso con chirurgica dovizia. Quello che c’è sotto è autenticamente buono, e naturalmente appetitoso: l’arrosto suino: succoso a significare la doviziosa lenta cottura, morbido, profumato. Fa sorridere il fatto che non vi è stata l’accortezza in sede di presentazione dell’arrosto di rimuovere da qualche punto superficiale la gelatina (naturale): la spontaneità (incuria direbbero i blasonati chef televisivi italici) del cuoco. Del resto, essendo la gelatina prodotta in cottura, avranno pensato che non era disdicevole esibirla. Hoki fish, snappers, e altri pesci, vengono presentati in purezza: un ciuffetto di crescione, o altra erbetta locale, dal nome non decodificato, interrompe il monocolore della carne avorio. Sapore di mare, forte, carne grassa, burrosa alla masticazione. Cozze verdi, letteralmente gigantesche e ostriche sono l’essenza del gusto degli atolli della fascia subantartica. Il pranzo continua evolve all’epilogo, tessuto da conversazioni sempre discrete. Uno sguardo d’insieme suggerisce che tutti si sono vestiti al meglio, per rispetto dela tradizione, ma le pressioni del fashion system qui non arrivano con il loro afflato corrosivo e ipocrita. Niente commenti scivolosi sugli indumenti, e soprattutto niente sguardi femminei, che calcolano l’ammontare indossato  dal soggetto in screening, in un battito di ciglia ammiccanti. La Professor Khromov beccheggia su cavalloni alti qualche metro; c’è la certezza che si è immersi nelle forze travolgenti ed immense del Pacifico, in un punto remoto de globo. Chissà cosa accade nelle acque invernali a giugno o maggio, durante i mesi di notte ghiacciata. Lo stomaco si rivolta un po’, ma lunghi respiri, occhi chiusi e la determinazione a liberare la mente, consentono di godere del pranzo, con i sensi totalmente rilassati dalla piacevolezza di una compagnia scelta e non imposta dalla famiglia. A Natale non devono mangiare anche i muri, è la festa dello stare insieme, senza necessariamente mangiare solo quintessenze rare e prelibate.  I dessert sono scontati: una crema mescolata a pan di spagna spacciata fieramente come tirmisu’, pasticciono al cioccolato a prova di shock insulinico, disponibile nella versione con ricciolino di panna montata adornato, in cima, da qualche smarties rosso e azzurro. Effetti a festa, un po’ infantili, ad ogni modo rimarchevoli per la latitudine cui viene offerto, nella zona più terrificante del più terrificante degli oceani. Spicca il colore della confettura di una crostata: vivacemente rosso: è stato usato un frutto dal nome non memorizzato, nell’idioma dei nativi Maori. Rimane sul tavolo un pacchettino di carta colorata, tutti lo vedono e nessuno lo tocca: è il silly joke! Scoperto nel Pacifico: si scarta si tira e scoppietta, ovviamente in modo calmierato, trattandosi di una invenzione a stampo britannico. Le reazioni tra i commensali ricordano le risatine stereotipate di qualche vecchia zitella incartapecorita da teatro. Niente in confronto alle bombe mortali partenopee lanciate dai balconi a Capodanno. C’è ironia ellittica da parte dei commensali che si divertono al tavolo dell’unica visitatrice italiana: ma ritorna rapida alla pietas, per colei che è straniera e si muove goffamente tra usi e consuetudini sconosciute.  Scivola via tra un tavolo e l’altro una sola bottiglia di whisky, assente nel cartiglio del menu’. Perchè come dicevano al largo di Jura, in Scozia, “what butter and whisky cannot cure, there’s no cure for!”. Senza chiedere, in sostituzione del’italico caffè, annunciato dal fumo bollente di tozze teiere in alluminio, arriva il te’. E’ denso , scuro. Forse un Assam, in infusione perfetta, da foglia grossolanamente spezzata, senza polvere, guarnito con opzione zucchero e latte. 
I had an elegant sufficiency”, ovvero letteralmente: ho mangiato abbastanza: è la frase usata tra commensali aristocratici o comunque un po’ snob. Bè si può dire che c’è sazietà della mente ed appagamento delle aspettative per aver vissuto, forse un unica volta nella vita, un Natale al 52 parallelo Sud, tra gli atolli dimenticati della fascia subantartica neozelandese.


A proposito di poo bag for solid dejections in any case of urgency. A proposito di sacchetto per I bisogni (umani) in caso di urgenza. 


Annuncio via radio del capitano della Professor Khromov: sono disponibili i poo bags, i sacchettini per i bisogni, in caso di urgenza, durante il sopralluogo a Campbell Island. Perchè non si vuole causare la malattia e la morte certe di leoni elefanti marini e molti altri animali, che popolano gli atolli subantartici. E così tutti gli ospiti, messi in fila ordinata, prima dello sbarco ricevono in mano, il sacchettino speciale, con l’obbligo di restituirlo. Sanzione per chi lo perde, significa che è andato perduto nell’atollo o, molto peggio, nell’oceano. Zaini, cappelli, tasche vengono tutti rigorosamente ispezionati e passati con una aspirapolvere per raccogliere semi e altri potenziali infestanti; gli scarponi lavati con sanificante. Grazie per questa lezione di amore intelligente, in mezzo ai ciuffi di Poa fogliosa, alle margherite antartiche, ed all’universo delle erbe giganti. Siamo in un ecosistema fragilissimo, dove appunto, l’impronta umana è indubbiamente funesta.

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