Ore 20.01, di sabato pomeriggio. Un messaggino telefonico consegna il quesito: - "posso scrivere Prodotto italiano sulla facciata della mia focaccia per XX”. Eh ma dai o prendo questo treno o passa, o stampo adesso o dopo perdo il cliente. (La seconda frase e’ il solito minaccino psicologico ben artato ai danni del consulente tapino che ama lavorare per le aziende).
Una scarica di foto seguono completano il quadro: Bandierona tricolore sulla facciata principale, claim: Made in Italy, benemerenze varie del “mastro di arte bianca”, fotografato con il trofeo pacchiano di non so quale gara, campione del mondo di non so quale campionato. Eh si ‘ perche’ ho imparato che vi sono vari campioni del mondo di varie gare. (Chissa’ se esiste il campione del mondo dei campioni….del mondo).
Rinforzino: claim: Focaccia YY lavorazione a pietra, spianata a mano, (meno male che hanno risparmiato l’ardire di indicare che la spiana a mano solo il campione del mondo).
Il codice doganale e’ salvifico alla risposta affermativa. Lettera n, art. 24: “Quando a realizzare un prodotto…...il paese originario e’ quelllo in cui si e’ effettuata la trasformazione sostanziale …. “ Insomma quello che gli fa fare un salto merceologico. Lo sfarinato informe diventa focaccia, grazie alla maestria dell’arte bianca. Sono in una botte di ferro: dichiarazione veritiera della spinanatura a mano, della macinatura a pietra della farina- fa molto Middle Age, sa di primitivo e quindi di puro per la massaia di Voghera.
Devo suggerire al cliente di non esagerare con l’italianeita’ in quanto tale, se la dichiarazione arriva a essere 100% made in Italy et similia allora devo avere il grano originario dallo stivale con conseguente lievitazione della focaccia, si’ alla cassa ($).
Ma si’, anche quel pasticciaccio brutto di decreto legge emergenziale, num. 135/2009, coordinato con la legge di conversione, num. 166/2009, conferma il parere. Ve lo ricordate? Quello emesso in fretta e furia, mentre tutti gli imprenditori alimentaristi erano con i piedi sui bagnasciuga. Un decreto si diceva- a protenzione della manifattura italiana. Di cui: Art. 16, comma 1 e 4, sotto riportati.
Il decreto conferma il mio parere.
Art. 16. Made in Italy e prodotti interamente italiani
1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
4.
Chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e' punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.
L. N. 350/2003
49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, .ovvero l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. .......
Eh pero’…occorre considerare anche l’art. 26 comma 1-5 del FIC (Food information to consumer). Il regolamento e’ gerarchicamente soverchiante le disposizioni nazionali, (quasi sempre!); in questo caso e’ di stesso livello del codice doganale (emesso con la 450…. ).
Dopo penosa riflessione, salvata (per ora) dalla promessa disattesa della commissione di emettere un parere sul comma 3, inerente l’impatto della dichiarazione di origine /luogo di provenienza, (per ingrediente caratterizzante o costituente piu’ del 50% dell’alimento) indico parere favorevole alla dichiarazione.
Con un ramo d’ulivo in “lane bende avvolto”, a guisa delle suppliche greche (quelle dell’antichita’- le attuali son di ben altra foggia), attendo mesta e pietosa che la commissione emetta un parere, definitivo, certo, inequivocabile, perche’ non si puo’ continuare a fluttuare tra una legge e l’altra sperando che il pubblico ufficiale (della forestale, dei Nas, dell’asl, di….) conosca tutte le citate disposizioni e convenga con l’interpretazione applicativa espressa.
Sperando ancora che la cassazione a sessioni unite abbia in passato emesso pareri in assonanza a quello consulenziato e sia in assonanza con le disposizioni europee.
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