ELLA credo

Credo nel lavorare bene e con passione
Credo che se i prodotti sono validi e il servizio e' valido, sia giusto ricavare profitto
credo nel metterci la faccia, nel fare errori e ripartire da zero


sabato 25 luglio 2015

Etichettatura alimentare: il contenuto di sale e' dovuto esclusivamente al sodio naturalmente presente

Cosi' recita l'art. 30 del regolamento FIC N. 1169/2011 inerente l'etichettatura dei prodotti alimentari. 
Il legislatore aggiunge (con il solito tocco di sicurezza): "ove opportuno". 
Che vuol dire? Che negli ingredienti in cui non vi e' additivazione di sale posso indicare che il sale presente e ' quello contenuto nell'alimento. Pura ovvietà', mi domando perché' concedere questo claim, tanto ridondante quando confusionario. 
E' ovvio che una terrina di verdure scottate (V gamma: due cartoline lessate, in confezione skin, un latte fermentato con aroma cannella- che fa molto Nord Europa e magazzino di mobilia low cost) o alcuni latticini non sono additivi con sale, quanto meno, normalmente, nel nostro paese. Dunque, via al claim, per gareggiare alla miglior vendita sullo scaffale. Ma se io volessi, per vendere un kg in più' nel mese di ferragosto, aggiungere il claim: "a basso contenuto di sodio", riferendomi a quanto consentito dal Reg. 1924? Basta che il contenuto di sodio /sale sia inferiore a 0,12 g e la magia e' fatta. Metto entrambi i clam e magari anziche' un pacchetto ne vendo due.... Il regolamento claim parla di sale/sodio lasciando arbitrio dell'uso dell'una o dell'altra parola
Il FIC no! Potenza della legislazione comunitaria, che ha bisogno di una pillolina per la memoria, e forse ben altro. Perché'  la pubblicazione del secondo regolamento (1169/2011) non si e’ ricordata del primo (reg. claim) e per agevolare la comprensione da parte del consumatore, autorizza l'uso del termine "sale".  Stop.. 
A questo punto, per rimediare all'erroraccio del FIC, che menziona di solo sale (calcolato come sodio *2,5) sono forzata ad usare il termine sale. In questo modo non esiste rischio di confondibiita' dalla comparazione dei due claim, riportati sulla stessa facciata principale del pacchetto alimentare. 

Che cosa ci dobbiamo aspettare  come novità' delle prossime pubblicazioni del legislatore comunitario? 
Io consiglio di dare uno sguardo all'oroscopo, quello di ottobre, fatto da una sciamana Inuit, tra le pendici aguzze delle scogliere groenlandesi. Sicuro che quello ci azzecca con il pronostico della futura legislazione comunitaria. 
Buona estate. ella@whyjustfood.com 





sabato 11 luglio 2015

Etichettatura alimentare- focaccia rustica made in Italy- prodotto italiano

Ore 20.01, di sabato pomeriggio. Un messaggino telefonico consegna il quesito: - "posso scrivere Prodotto italiano sulla facciata della mia focaccia per XX”. Eh ma dai o prendo questo treno o passa, o stampo adesso o dopo perdo il cliente. (La seconda frase e’ il solito minaccino psicologico ben artato ai danni del consulente tapino che ama lavorare per le aziende). 
Una scarica di foto seguono completano il quadro:  Bandierona tricolore sulla facciata principale, claim: Made in Italy, benemerenze varie del “mastro di arte bianca”, fotografato con il trofeo pacchiano di non so quale gara, campione del mondo di non so quale campionato. Eh si ‘ perche’ ho imparato che vi sono vari campioni del mondo di varie gare. (Chissa’ se esiste il campione del mondo dei campioni….del mondo). 
Rinforzino: claim: Focaccia YY lavorazione a pietra, spianata a mano, (meno male che hanno risparmiato l’ardire di indicare che la spiana a mano solo il campione del mondo). 

Il codice doganale e’ salvifico alla risposta affermativa. Lettera n, art. 24: “Quando a realizzare un prodotto…...il paese originario e’ quelllo in cui si e’ effettuata la trasformazione sostanziale …. “  Insomma quello che gli fa fare un salto merceologico. Lo sfarinato informe diventa focaccia, grazie alla maestria dell’arte bianca. Sono in una botte di ferro: dichiarazione veritiera della spinanatura a mano, della macinatura a pietra della farina- fa molto Middle Age, sa di primitivo e quindi di puro per la massaia di Voghera. 
Devo suggerire al cliente di non esagerare con  l’italianeita’ in quanto tale, se la dichiarazione arriva a essere 100% made in Italy et similia allora devo avere il grano originario dallo stivale con conseguente lievitazione della focaccia, si’ alla cassa ($). 
Ma si’,  anche quel pasticciaccio brutto di  decreto legge emergenziale,  num. 135/2009, coordinato con la legge di conversione, num.  166/2009, conferma il parere. Ve lo ricordate? Quello emesso in fretta e furia, mentre tutti gli imprenditori alimentaristi erano con i piedi sui bagnasciuga. Un decreto si diceva- a protenzione della manifattura italiana. Di cui: Art. 16, comma 1 e 4, sotto riportati. 
Il decreto conferma il mio parere. 
Art. 16. Made in Italy e prodotti interamente italiani
1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
4.
Chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e' punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.

L. N. 350/2003 
49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, .ovvero l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. .......
Eh pero’…occorre considerare anche  l’art. 26 comma 1-5 del FIC (Food information to consumer). Il regolamento e’ gerarchicamente soverchiante le disposizioni nazionali, (quasi sempre!);  in questo caso e’ di stesso livello del codice doganale (emesso con la 450…. ). 

Dopo penosa riflessione, salvata (per ora) dalla promessa disattesa della commissione di emettere un parere sul comma 3, inerente l’impatto della dichiarazione di origine /luogo di provenienza, (per ingrediente caratterizzante o costituente piu’ del 50% dell’alimento) indico parere favorevole alla dichiarazione. 
Con un ramo d’ulivo in “lane bende avvolto”, a guisa delle suppliche greche (quelle dell’antichita’- le attuali son di ben altra foggia), attendo mesta e pietosa che la commissione emetta un parere, definitivo, certo, inequivocabile, perche’ non si puo’ continuare a fluttuare tra una legge e l’altra sperando che il pubblico ufficiale (della forestale, dei Nas, dell’asl, di….) conosca tutte le citate disposizioni e convenga con l’interpretazione applicativa espressa. 
Sperando ancora che la cassazione a sessioni unite abbia in passato emesso pareri in assonanza a quello consulenziato e sia in assonanza con le disposizioni europee. 
Sperando, e ringraziando deferentemente per l’alacre lavoro della commissione europea, quando si degnera’ di consentirci di lavorare con dignita’. 

sabato 4 luglio 2015

Etichettatura alimentare- D.L. 116/2014 sulla applicazione delle sanzioni per errori di lieve entità'

D.L. 116 del 14/08/2014- art. 3 per i prodotti agroalimentari, modifica del D.L. 91/2014  in particolare: 
 ((3. Per le violazioni alle norme in materia agroalimentare, di lieveentita',per le quali e' prevista l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, l'organo di controllo incaricato, nel caso in cui accerta per la prima volta l'esistenza di violazioni sanabili, diffida l'interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione dell'atto di diffida e ad elidere le conseguenze dannose o pericolose dell’illecito amministrativo. Per violazioni sanabili si intendono errori e omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili. In caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nella diffida di cui al presente comma, entroil termine indicato, l'organo di controllo procede ad effettuare la contestazione, ai sensi dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tale ipotesi e' esclusa l'applicazione dell’articolo  16 della citata legge n. 689 del 1981.   3-bis. L'articolo 7 del decreto legislativo 30 settembre 2005, n.225, e il comma 4 dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 aprile  2010, n. 75, sono abrogati)). 
  4. Per le violazioni alle norme in materia agroalimentare per le quali e' prevista l'applicazione della sola sanzione amministrativa  pecuniaria, se gia' consentito il pagamento in misura ridotta, la  somma, determinata ai sensi dell'articolo 16, primo comma, della  citata legge n. 689 del 1981, e' ridotta del trenta per cento se il pagamento e' effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione. ((La disposizione di cui al primo periodo si applica anche alle violazioni contestate anteriormente alla data di  entrata in vigore del presente decreto, purche’ l'interessato effettui il pagamento e trasmetta la relativa quietanza entro trenta  giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'autorita' competente, di cui all'articolo 17della citata legge n. 689 del 1981 e all'organo che ha accertato la  violazione)).

Commento 

Insomma una sorta di ravvedimento operoso dell’etichetta alimentare, dosato nella modalita’ di tutela della salute del consumatore. L’entusiamo per lo sgravio normativo (tutto sommato il legislatore pensa a noi, e agisce per noi) svapora  all’enpasse interpretativa. 
“Errore di lieve entita’”: Cosa vuol dire? Come applicarlo alla realta’ guerresca delle aziende dove corretta interpretazione dell’ indovinello normativo, evita il sacrificio pecuniario, in un contesto imprenditoriale, ove non sono piu’ ammessi imprevisti. Occorre disaminare preventivamente. 
Di lieve entita’?: Non e’ certo il caso di  una data di scadenza omessa, o una “dichiarazione allergeni su una quiche Lorraine in multipara”: caso indubitabile.
Potrebbe essere il caso di un carattere di scrittura sul cartiglio, in colore tutto rosso anziche’ nero? Un comune errore di stampa. Ma, il considerante 17 del FIC suggerisce che occorre tener conto anche di chi ha menomazioni visive. Quindi ai daltonici facciamo un torto, speriamo di lieve entita’. O il caso di un carattere pari a 0,9 mm di altezza, su una etichetta di ben 96 cm² stampata su fondo bianco, con stile de carattere di scrittura, poco chiaro.? Ancora: l’aver scritto “stabilizzatori” anziche’ stabilizzanti in lista ingredienti; questo errore non impatta sulla sicurezza alimentare, potrebbe essere inteso come un lapsus calamai. Ma come prevenire le interpretazioni piu’ talebane? La foresta dei sanzionatori pullula. 
Perche’ -ben dicono i garantisti- la massaia di Voghera deve essere rassicurata da un cartiglio di etichettatura che non lascia arbitrio ad errori interpretativi. Va da se’ comunque che malgrado l'ottemperanza al più' severo rigore di etichettatura,  la nostra massaia di Voghera,  rimane mediamente sovrappeso, mal alimentata,  seguace gretta di  leggende metropolitane sulle annone, che sfidano le normali leggi delle chimica, delle fisica e del misero buon senso comune. E' coccolata da  una offerta alimentare superiore alla immaginazione di Frank Herbert, ma la dieta rimane mediamente poco variata. 
Immaginiamoci il caso: il tuo cliente ti chiama. In sottofondo il rumore delle macchine alimentari, che sputa tonnellate di cartigli, ogni secondo sono migliaia di euro. “Mi confermi assolutamente che sul “maxi pack delizia con le 8 pacchetti” e’ di lieve entita’ che manca la data di scadenza su 6 di 8 perche’ la macchina si e’ rotta …. e ho gia’ 48 bancali in consegna all….Mi confermi che e' cosa lieve e possiamo riparare in 20 giorni facendo... VeroVero? Rif. 5 del D.L. 12 del 25/01/2012 fa seguito al FIC . L’insostenibile leggerezza dell’errore di lieve entita’ va materializzato; nella migliore delle ipotesi posso dire al cliente, per prendere tempo, che sto facendo una prova di laboratorio e entro 2 minuti cronometrati ha la risposta.Ennesima conferma del vizietto del legislatore: l’evanescenza incallita. 
Caro legislatore italiano, dalla formazione pesante e  libresca, la giurisprudenza alimentare non e’  una lotteria colorata, dagli infiniti sorteggi, e dalle mille sorprese ad affetto. In produzione i nastri caricatori corrono, con i soldi degli imprenditori (quelli rimasti vivi). Non vi e’ spazio per bizantinismi su cosa e’ lieve e cosa e’ “pesante.” Sei pregato di specificare esattamente cosa e' "di lieve entità'", prendendoti le tue "responsabilità'- fa anche rima. Sei pregato di esporti, come fanno gli imprenditori, i produttivi, i mille Giopi' de Sanga (i mille gioppini un po' tapini) che ogni giorno lavorano nella filiera food, cercando di fare del loro meglio per non scivolare sui mille tranelli tesi, dalla burocrazia. 
La scrivente, con con l’elmetto in testa, rimane in orgogliosa attesa del codice unico sanzionatorio, a ormai qualche anno dall’entrata in vigore del Regolamento 1169/2011. Sperando che la preghiera non diventi requiem di un documento mai emesso. 


Giopi’ de Sanga- consulente alimentare.